Concimare il prato all’inizio della primavera

Quando si comincia la manutenzione annuale del prato? I tappeti erbosi nelle regioni del Nord Italia sono principalmente composti da essenze graminacee microterme, tipi di erba cioè che vanno in riposo vegetativo sotto i 7°C e sopra i 30°C. Perciò finito il gelo e con le prime giornate tiepide di fine inverno-inizio primavera l’erba si sveglia ed è…affamata.

Le prime due concimazioni dell’anno sono fondamentali e si somministrano concimi ad alto titolo di azoto. Come si sceglie il concime giusto? I concimi specifici per tappeto erboso sono concimi minerali che apportano azoto a lenta cessione, fosforo, potassio e talvolta anche altri elementi nutritivi. Il “titolo” del concime indica il rapporto tra i tre principali elementi (azoto.fosforo.potassio – N.P.K). Esempi di titoli di concimi ad alto tenore di azoto sono: 20.5.8, 25.0.10, 26.5.11.

La prima concimazione del prato dell’anno si effettua nel mese di marzo, già all’inizio del mese se il clima lo permette come quest’anno. La seconda concimazione è consigliata dopo circa 45-50 giorni. Il tappeto erboso cambia aspetto: rinverdisce, infittisce, chiude i piccoli “buchi”, soffoca le prime piccole infestanti a foglia larga. Una concimazione mirata, accompagnata da tagli regolari già da marzo-aprile, è la prima e più efficacie strategia di controllo delle infestanti (quasi come un diserbo) perché se il prato è ben stabilizzato e compatto non troveranno posto per svilupparsi né le erbacce a foglia larga né lo sgradito pabbio.

Sperimentate e vedrete i risultati!

 

Carlo Fornara

Utilizzo dei Prodotti Fitosanitari nelle aree pubbliche urbane

Le novità introdotte dalla nuova normativa sull’uso dei prodotti fitosanitari (Piano di Azione Nazionale del 22 gennaio 2014) stanno portando ad una rivoluzione nel mondo dei trattamenti fitoiatrici alle piante, non solo nel settore agricolo ma anche nella gestione delle aree verdi urbane. Le misure riportate al paragrafo A.5.6. del PAN sono dedicate alle aree normalmente frequentate dalla popolazione, tra cui parchi e giardini pubblici, campi sportivi, cimiteri, superfici in prossimità di strutture scolastiche e strutture sanitarie, zone di interesse storico-artistico. La filosofia è “ridurre l’uso dei prodotti fitosanitari o dei rischi connessi al loro utilizzo nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici, biologici), riducendo le dosi di impiego e utilizzando tecniche e attrezzature che permettano di ridurre al minimo la dispersione nell’ambiente”. In particolare la normativa è categorica sull’uso di prodotti diserbanti (A.5.6.1.): sono vietati e da sostituire con metodi alternativi nelle zone frequentate dalla popolazione. E in ambiente urbano rimanda la questione alle “autorità locali competenti” che definiranno le aree sensibili in cui il chimico è assolutamente vietato oppure ammesso in un contesto di lotta integrata.

Il nocciolo della questione è che in ambiente pubblico diventa necessaria una figura competente che possa prescrivere dove, quando e quali trattamenti con prodotti fitosanitari possono essere effettuati, tenendo in considerazione il nuovo regolamento, il rischio effettivo di un prodotto fitosanitario specifico, le caratteristiche del sito da trattare e… la volontà del sindaco. Il quadro è notevolmente complesso! Questa figura che deve destreggiarsi agilmente sia nella burocrazia che nelle tecniche agronomiche è il Consulente Fitosanitario, abilitato ai sensi della Direttiva 128/2009 a livello europeo, recepita poi a livello nazionale e regionale (Piano di Azione Regionale, della Lombardia, del  Piemonte, ecc.).

Il Dott. Andrea Tovaglieri, titolare dello Studio Tovaglieri, ha conseguito l’abilitazione a Consulente Fitosanitario e lo Studio si occupa di redigere per le amministrazioni pubbliche ricette personalizzate per la gestione e la cura del verde urbano nel rispetto della sicurezza dei cittadini e dell’ambiente.

Quando una proprietà diventa un bosco

Non è una battuta per descrivere un giardino poco curato o troppo fitto di piante… può accadere che un terreno abbandonato diventi un bosco a tutti gli effetti se in esso si insediano specie arboree e arbustive tipiche del bosco. E, in genere, questa è una cosa da evitare (a meno che non sia voluta) in quanto comporta non poche complicazioni per il proprietario. Le proprietà a rischio sono i terreni agricoli che non vengono più coltivati oppure i terreni edificabili ed edificati non utilizzati: diventano così terreni fertili in cui, se non vengono effettuate operazioni di manutenzione ordinaria, possono germinare e svilupparsi spontaneamente Robinie, Ailanti, Prunus serotina, Sambuchi, Biancospini…e altre essenze forestali pionieristiche caratterizzate da grande adattabilità ai diversi ambienti pedoclimatici, velocità di crescita e velocità di diffusione. In alcuni casi basta che una proprietà di 2000 m2 sia coperta per il 20% da specie forestali di almeno 5 anni per poter essere classificata come bosco secondo le Norme Forestali della Regione Lombardia.

Cosa comporta la classificazione a bosco? I boschi sono vincolati dal punto di vista paesaggistico (art. 142, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004) e regolamentati precisamente dal punto di vista delle utilizzazioni: ad esempio non è possibile effettuare tagli senza autorizzazione, non sono consentite la rimozione dei ceppi, la movimentazione di terra e altre tipologie di intervento. E soprattutto, riportare il bosco alla condizione di terreno coltivato, edificato o edificabile (come era in origine) è una vera e propria pratica di trasformazione d’uso del bosco, cioè una pratica che deve essere redatta da un professionista abilitato e che prevede compensazioni piuttosto onerose. Insomma tante scartoffie e tante spese.

Lo Studio Tovaglieri si occupa delle pratiche di trasformazione d’uso del bosco e della classificazione dei soprassuoli arborei ed arbustivi individuando la procedura autorizzativa corretta per la realizzazione degli interventi. I boschi sono sink di biodiversità fondamentali nell’ecosistema e portano benefici a tutta la collettività, è importante porre attenzione alla loro qualità ed al loro sviluppo ma anche evitarne l’insediamento in aree inopportune e indesiderate.

Fare l’orto tra tradizione e tecnica

Sempre più persone si avvicinano e si appassionano all’orticoltura: coltivare un pezzettino di terra per produrre verdure e aromatiche non è solo un mestiere da nonni e pensionati. Come mai? Forse piace l’idea di produrre per il proprio consumo qualcosa di veramente genuino, di recuperare una tradizione, di avere un hobby “verde”, che fa lavorare all’aperto quasi tutti i mesi dell’anno, che insegna a rispettare i tempi della natura… Tutto vero, ma attenzione, l’orticoltura non può essere solo poesia. Per iniziare un piccolo orto famigliare può bastare un pezzettino di terra, qualche nozione di base e tanta buona volontà ma anche l’hobbista più motivato si disaffeziona al lavoro se non ottiene i risultati sperati. L’autoproduzione di alcuni ortaggi può essere un notevole risparmio economico confronto all’acquistarli e questo è un aspetto concreto e allettante per iniziare a preparare un orto. Il nostro consiglio, per chi si approccia alla coltivazione sia famigliare per l’autoconsumo che semiprofessionale, è quello di affrontare razionalmente le prime operazioni di messa a coltura per partire con il piede giusto: analizzare il terreno per valutare se è adatto alla coltivazione degli ortaggi così com’è o se necessita di ammendati e correttivi; pianificare le coltivazioni più adatte alle condizioni pedoclimatiche e gli avvicendamenti colturali; organizzare gli spazi. Produrre secondo natura non significa per forza affidarsi al caso e sperare che qualcosa cresca, soprattutto se il terreno di partenza è acido, povero di nutrienti e privo di sostanza organica. Il mercato mette a disposizione numerosi prodotti che contengono ammendanti naturali, microrganismi utili, sostanze di origine biologica che se applicate alle coltivazioni orticole già nelle prime fasi di sviluppo fanno la differenza, portano alla produzione di ortaggi più sani (evitando l’uso a posteriori di insetticidi e fungicidi!), più nutrienti, più saporiti…e più soddisfacenti.

Poi, una volta impostata la produzione con criteri agronomici validi, c’è anche spazio per sperimentare e per darsi…alla poesia.

Vi aspettiamo per approfondire questo tema venerdì 7 aprile alle 21.00 presso la nostra sede di Golasecca (VA): “Orto: impostare una produzione semiprofessionale”.

Endoterapia arborea: curare gli alberi con un’iniezione

L’idea che sta alla base della tecnica dell’endoterapia arborea è molto semplice: iniettare un principio attivo attraverso il tronco di un albero e sfruttare il movimento naturale dei fluidi nei vasi linfatici per traslocarlo in tutte le parti della pianta. Come fare? Le tecniche e le strumentazioni si sono evolute nel tempo, passando da sistemi a bassa pressione che infondevano lentamente nelle piante alti volumi di prodotto (delle vere e proprie flebo) fino all’impiego di pistole che iniettano piccole quantità di principio attivo ad alta pressione in pochi minuti.

I prodotti registrati per l’endoterapia sono principalmente insetticidi e questa pratica è straordinariamente efficacie contro parassiti celeberrimi degli alberi ornamentali e forestali come la processionaria del pino, la processionaria della quercia, la cameraria dell’ippocastano, gli afidi del tiglio, la psilla dell’albizzia.

I vantaggi dell’endoterapia rispetto ai tradizionali trattamenti alla chioma sono facilmente intuibili: nessuna dispersione di prodotto nell’ambiente; utilizzo di piccole quantità di prodotti fitosanitari; velocità e agilità di applicazione, fondamentale nel caso di lunghe alberate cittadine, alberi difficilmente raggiungibili, piante in aree sensibili; durata della copertura del trattamento fino a due stagioni.

Limiti di applicazione? L’endoterapia è sconsigliata su alberelli di piccolo diametro (inferiore a 10 cm) e su alberi in cui l’apparato vascolare è compromesso da parassiti, malattie o danni meccanici. L’albero deve essere “in succhio”, per garantire la traslocazione della linfa e del prodotto iniettato fino agli apici della pianta, perciò alle nostre latitudini l’endoterapia è consigliata da aprile a settembre, sia per le latifoglie che per i sempreverdi.

Lo Studio Tovaglieri propone un seminario teorico-pratico per i professionisti che vogliono conoscere e approfondire la tecnica dell’endoterapia arborea, in particolare con la strumentazione Quick Jet, venerdì 24 marzo dalle 9.00 alle 12.00 presso la nostra sede di Golasecca (VA).